Guarda all’interno del DOP: l’alfabeto fonetico e altro
Il primo termine, rappresentato dalla scrittura ordinaria della parola, è quasi sempre il più stabile e, appunto per la sua stabilità, il più conosciuto; è messo pertanto in maggior rilievo, col neretto, e serve di base all’ordinamento alfabetico delle voci. Presenta seri problemi solo in due casi: quello delle varianti grafiche, che si sono registrate con una certa larghezza (pur graduandole secondo la correttezza e la diffusione) a condizione che ricorrano con qualche frequenza in pubblicazioni a stampa; e quello delle traslitterazioni dagli alfabeti greco, cirillico, arabo, ebraico, e altri meno noti, e dalle scritture non alfabetiche dei popoli dell’Estremo Oriente, per le quali traslitterazioni si sono seguiti in generale i criteri già adottati dall’«Enciclopedia italiana» (Treccani) e dal «Dizionario enciclopedico italiano», vale a dire i criteri più accreditati in ciascun campo tra gli studiosi delle varie lingue e letterature che si servono di tali sistemi di scrittura. Così, alla questione se la parola pronunziata t$+ vada scritta tè o the o thè, il «Dizionario» dà una risposta esprimendo una preferenza abbastanza netta per la prima forma, registrando però anche le altre e riconoscendone con questo l’esistenza nell’uso, sia pure in un uso di cui si potrebbe discutere; alla questione di come rendere in caratteri latini il cognome russo pronunziato raSt0fZïf il «Dizionario» risponde con Rostovcev, adeguandosi in questo all’uso prevalente fra gli slavisti, senza peraltro dimenticare di dar notizia delle altre forme (Rostovtsew, Rostovtzeff, Rostovzev) in cui lo stesso cognome si vede spesso traslitterato.
Più complesso è il problema della pronunzia: quale pronunzia cioè sia da considerare tipica e da consigliare a chi cerchi nel dubbio una guida e una norma, e quali e quante varianti siano da ammettere tra quelle che molte parole presentano in ogni lingua di cultura; con quale alfabeto fonetico, poi, convenga rappresentare i suoni della pronunzia, tenuto conto del pubblico a cui ci si rivolge e della sua maggior familiarità con una determinata ortografia, cioè con quella dell’italiano; infine, se nei caratteri fonetici debba esser fissata una trascrizione integrale della pronunzia, per l’italiano come per i nomi d’altre lingue, ovvero una trascrizione fonematica che della pronunzia interpreti e trascelga i soli tratti essenziali da un punto di vista funzionale. Nelle diverse questioni ora accennate il «Dizionario d’ortografia e di pronunzia» si tiene vicino in generale, quanto ai criteri di larga massima, non necessariamente quanto alla soluzione di singole incertezze, alla linea già seguita da quei vocabolari e repertori d’autorità e diffusione internazionale in cui le questioni stesse, tutte o qualcuna secondo i casi, sono state affrontate e risolte con maggior larghezza di vedute. In particolare l’alfabeto fonetico e il sistema di trascrizione adottati nel presente «Dizionario» sono modellati, con alcune varianti e integrazioni introdotte a ragion veduta, su quelli già usati nel «Dizionario enciclopedico italiano», pubblicato dall’Istituto dell’«Enciclopedia italiana» (1955-61), e confermati nei successivi rifacimenti di tale opera che lo stesso Istituto ha dato in luce coi titoli di «Lessico universale italiano» (1968-81) e di «Piccola Treccani» (1995-97).